| Attenzione: non
        è un trattato né tanto meno una lezione... sono solo concetti scritti
        un po' disordinatamente ma sufficienti a far comprendere un minimo di
        teoria sui fusibili. PARTE 1 I fusibili sono dispositivi di protezione con caratteristica
        d'intervento a tempo inverso. In altre parole, il tempo di intervento di
        un fusibile diminuisce se la sovracorrente che si sviluppa in un
        circuito guasto (o
 sovraccaricato) aumenta.
 
 Parlando di sovracorrenti è necessario distinguere le stesse in due
        categorie: cortocircuito e sovraccarico. Il primo si verifica quando due
        elementi attivi di un circuito vengono in contatto fra di loro in modo
        franco, cioè con una connessione reciproca che presenta una bassissima
        resistenza. Il sovraccarico si ha quando un'utenza, spesso un motore, è
        chiamata a compiere un lavoro straordinario per il quale necessiterebbe
        di una maggiore energia che in realtà non è in grado di convertire. In
        quel
 caso l'utenza assorbe più corrente di quella che i suoi componenti
        interni possono sopportare e generalmente, dopo qualche tempo, si
        guasta. E' il caso di molti verricelli...
 
 Rispetto alla corrente assorbita nominalmente da un'utenza si parla di
        cortocircuito quando la corrente di guasto circolante è pari almeno al
        doppio/triplo della corrente nominale (nella pratica spesso molto di più).
        Si intende per sovraccarico una corrente superiore alla nominale di
        alcuni punti percentuali (anche decine di punti percentuali). Ad
        esempio: se in un circuito con una nominale di 10 A misuro in condizioni
        di guasto 150 A, si tratta sicuramente di cortocircuito. Se rilevo 11,6
        A si tratta di sovraccarico.
 
 Nel caso degli impianti automobilistici, la corrente di guasto
        circolante in caso di cortocircuito equivale alla corrente che
        circolerebbe congiungendo i poli negativo e positivo della batteria (non
        fatelo!) dedotte le perdite sui cavi e sulle giunzioni.
 
 La corrente di cortocircuito generata dalla batteria (nell'ordine di
        parecchie centinaia di ampére, sostanzialmente equivalente alla
        corrente di spunto) aumenta in funzione della diminuzione della
        resistenza interna della batteria stessa. La resistenza interna della
        batteria è generalmente tanto più bassa quanto più alta è la sua
        capacità. In ogni caso dipende dalle caratteristiche costruttive degli
        elementi costituenti l'accumulatore. Tanto per capirci, a parità di
        capacità, una batteria per avviamento ha generalmente una resistenza
        interna più bassa di quella di una batteria perl'alimentazione di
        servizi in regime di scarica lenta.
 
 Analizzando un qualunque circuito terminale di un impianto automotive e
        risalendo alla sorgente d'alimentazione, ovvero la batteria,
        incontreremo un certo numero di elementi. Per esempio si potrebbe
        cominciare con la morsettiera del portalampada di un proiettore, dopo
        seguirebbe qualche metro di cavo di piccola sezione, dopo incontreremmo
        un connettore di servizio (necessario ad esempio per disassemblare gli
        elementi della carrozzeria), quindi nuovamente cavo elettrico, dopo lo
        zoccolo di un relè, il relè stesso, di nuovo cavo, poi un fusibile di
        basso calibro, ancora cavo ma di sezione più elevata, un fusibile di
        elevato calibro e, probabilmente, giungeremo finalmente alla batteria
        con un cavo di grande sezione.
 
 Questo insieme di conduttori e giunzioni introduce una resistenza,
        ovvero si oppone in certa misura al passaggio della corrente elettrica
        generando perdite in calore. Attenzione anche al percorso di massa (polo
        negativo) anch'esso ha la sua importanza e introduce una resistenza nel
        circuito.
 
 La corrente di guasto, ovvero per convenzione la corrente che circola
        nei conduttori in caso di cortocircuito, è molto elevata in prossimità
        della batteria ma diminuisce man mano che ci si "allontana"
        dalla stessa per effetto della resistenza introdotta dagli elementi di
        cui sopra. Notare che qualunque elemento elettrico introduce una
        resistenza, seppur piccola.
 
 Nel dimensionamento di un circuito si presta molta attenzione a
        mantenere tali resistenze il più basse possibile per evitare inutili
        sprechi d'energia e cadute di tensione troppo elevate le quali
        potrebbero causare il malfunzionamento od il basso rendimento di
        un'utenza. Al di là dei problemi di tensione, è anche necessario
        verificare che la corrente di guasto presente in un circuito in caso di
        cortocircuito, sia sufficiente a provocare l'intervento dei dispositivi
        di protezione.
 
 Come accennavo prima, i fusibili hanno una caratteristica di intervento
        inversa. Analizzando questo concetto da un altro punto di vista, è
        lecito affermare che in caso di correnti di guasto molto basse il
        fusibile potrebbe non intervenire tempestivamente e mantenere alimentata
        un'utenza in condizioni di guasto, spesso peggiorando le cose. Ecco
        perché nella mia precedente mail affermavo che i fusibili sono poco
        idonei alla protezione contro i sovraccarichi.
 
 La ragione di questo comportamento è da ricercare nella tecnologia
        costruttiva dei fusibili. Il fusibile è sostanzialmente costituito da
        uno spezzone di conduttore calibrato in grado di sopportare
        permanentemente il passaggio di una certa corrente. Se la corrente
        aumenta il fusibile si scalda poiché la sezione dello spezzone di
        conduttore calibrato non è in grado di veicolare un flusso maggiore.
        Man mano che sale la temperatura si raggiunge il punto di rammollimento
        o di fusione del metallo costituente il
 fusibile e lo stesso si interrompe disalimentando il circuito.
        L'interruzione può avvenire per deformazione del metallo il quale si
        distacca da uno dei due punti ancoraggio o per vera e propria
        distruzione dello stesso.
 
 Considerato che anche i fusibili introducono una resistenza elettrica e
        quindi generano calore, il costruttore cerca il miglior compromesso fra
        bassa dissipazione termica ed un'elevata prestazione d'intervento. Ciò
        nonostante, è molto difficile ottenere buone prestazioni per basse
        sovracorrenti. Una grande sovracorrente, ovvero un cortocircuito, genera
        un'elevata sovratemperatura sul fusibile distruggendolo nel giro di
        qualche millisecondo. Un sovraccarico di bassa entità riscalda il
        fusibile molto lentamente
        provocandone la distruzione anche dopo alcune ore.
 
 Nella pratica mi è capitato di osservare un classico fusibile
        automotive da 10 A (rosso) attraversato da una corrente di 13,5-14 A. Lo
        stesso è intervenuto dopo più di un'ora dall'insorgere del
        sovraccarico. Se quella corrente fosse stata richiesta da un motore
        elettrico sovraccaricato, lo stesso sarebbe passato a miglior vita ben
        prima di un'ora e il fusibile sarebbe rimasto bello integro, magari un
        po' deformato ma ancora in grado di funzionare! Aggiungo che nel caso
        del sovraccarico influisce molto la temperatura ambiente. Nel caso del
        cortocircuito è praticamente ininfluente.
 
 Quanto sopra spiega per quale ragione io adotti un fusibile da 125 A per
        la protezione contro il sovraccarico
        del mio WARN XD9000 in grado di assorbirne anche 350!
 PARTE 2 La scelta di un
        fusibile per la protezione di un circuito elettrico deve essere
        adeguatamente ponderata. Vediamo quali sono gli aspetti di cui bisogna
        tenere conto facendo un passo indietro.
 Prima di parlare di protezioni ed ancor prima di considerare i
        conduttori è necessario valutare le caratteristiche del carico che è
        necessario alimentare. Tralasciamo la tensione e la natura della
        corrente; questi parametri, nel caso delle nostre Land Rover, presentano
        valori predefiniti: 12 V in corrente continua. E' innanzitutto
        necessario verificare la potenza dell'utenza da alimentare.
 
 La potenza elettrica in un circuito in corrente continua è definita
        dalla semplice relazione P = U*I, dove P è la potenza espressa in watt
        (W), U la tensione espressa in volt (V) e I la corrente espressa in ampére.
        In realtà a noi interessa manipolare valori di corrente, pertanto,
        conoscendo la potenza assorbita da un'apparecchiatura si ricorre alla
        relazione I = P/V.
 
 Attenzione: la potenza di cui stiamo parlando non è la potenza resa da
        un'apparecchiatura (per esempio un motore od una lampadina) ma la
        potenza assorbita dalla linea d'alimentazione. La potenza resa è sempre
        minore della potenza assorbita in quanto entra in gioco un altro
        parametro: il rendimento dell'utenza. Il rendimento può essere espresso
        come coefficiente o percentuale. Ai fini di questa minuscola trattazione
        ci basti sapere che si considera accettabile un rendimento compreso tra
        85 e 95%. La differenza necessaria per giungere il 100% è ovviamente
        persa in calore.
 
 Una volta conosciuto il valore di corrente assorbita dalla nostra utenza
        si procede con il dimensionamento della conduttura d'alimentazione. In
        altre parole è necessario scegliere un cavo di sezione sufficiente a
        trasportare l'energia richiesta con affidabilità, introducendo un
        valore di perdite minimo.
 
 Nel caso degli impianti in corrente continua a bassa tensione è sempre
        meglio iniziare il dimensionamento valutando la caduta di tensione
        introdotta dal conduttore (per gli impianti a tensione industriale
        l'approccio potrebbe essere differente).
 
 La caduta di tensione si calcola utilizzando la solita legge di Ohm. Per
        applicare la nota relazione dobbiamo conoscere il valore di resistenza
        del conduttore. Ponendo di utilizzare conduttori in rame (c'è qualcuno
        che si diletta con alluminio, leghe di nichel o argento?!), il valore di
        resistività del simpatico metallo alla temperatura di 0°C è pari a
        0,016 ohm*mm2/m e si indica con la lettera greca ro seguita da 0 che
        indica la temperatura di riferimento. Praticamente ro con 0 pedice.
 
 Questo valore serve ancora a poco perché la nostra Land Rover deve
        essere in grado di operare con temperature ambiente di almeno 45° e
        dobbiamo considerare anche il riscaldamento indotto dal motore (magari
        il cavo passa lì vicino)... quindi è meglio calcolare quale sia la
        resistività del rame ad una temperatura vicina alla realtà.
        Ipotizzerei t pari almeno a 60°C, tanto per essere dalla parte della
        ragione.
 
 Il coefficiente di temperatura del rame è pari a 0,0042 e si indica con
        alfa. La resistività ad una certa temperatura (indicata con ro seguito
        da t pedice) si calcola con questa relazione: rot = ro0*[1+(alfa*t)].
        Nel nostro esempio otteniamo rot = 0,016*[1+(0,0042*60)] = 0,020
        ohm*mm2/m.
 
 Ora disponiamo del coefficiente di resistività del rame a 60°C. La
        relazione per il calcolo della caduta di tensione è semplice: deltaU =
        (rot*l*2*I)/s dove deltaU è la caduta di tensione, rot sapete già cos'è,
        l è la lunghezza espressa in m della linea, 2 è un moltiplicatore che
        serve per calcolare l'effettiva lunghezza del circuito (misura di
        lunghezza del cavo positivo + misura di lunghezza del cavo negativo,
        supponendo che seguano lo stesso percorso), I è la corrente assorbita
        dall'utenza, s è la sezione espressa in millimetri quadrati del cavo.
 
 Ci viene meglio "ribaltare" la formula per ottenere
        direttamente la sezione del cavo da utilizzare... in realtà è quello
        che stiamo cercando! Quindi si ottiene: s = (rot*l*2*I)/deltaU. Mi
        chiederete: che valore deve avere deltaU? Se consideriamo che la
        tensione di una batteria carica è pari a circa 13,6 V e quella di una
        batteria scarica è pari a 11,4 V, io riterrei che sia cautelativo
        considerare di ottenere una caduta di tensione non superiore a 0,6 V. Si
        tratta di un 5% della tensione nominale di batteria, cioè 12 V.
 
 Facciamo un esempio pratico, in modo da ricapitolare quanto fin qui
        esposto. Devo installare un frigorifero sul mio D90. Il frighetto
        assorbe 135 W a 12 V. Calcolo la corrente: I = P/V = 135/12 = 11,25 A.
        Scelgo il cavo imponendomi una caduta di tensione di 0,6 V sapendo che
        la linea bipolare di collegamento fra frigo e batteria è lunga 3 m: s =
        (rot*l*2*I)/deltaU = (0,020*3*2*11,25)/0,6 = 2,25 mm2. La sezione di
        2,25 mm2 in commercio non esiste, perciò decido di utilizzare comuni
        conduttori di sezione pari a 2,5 mm2.
 
 Siccome sono pignolo, voglio vedere di quanto migliora la situazione
        c.d.t. utilizzando il cavo che sono riuscito a reperire in commercio:
        deltaU = (rot*l*2*I)/s = (0,020*3*2*11,25)/2,5 = 0,54 V. Sessanta
        millivolt guadagnati sono meglio che niente! Potrei anche decidere che
        il mio cavo non sarà mai esercito al di sopra dei 45°C e quindi potrei
        ricalcolare il rot... lascio che vi divertiate un po' con i numeri!
 
 Piccola parentesi: la relazione per calcolare la caduta di tensione è
        fondamentale per dimensionare correttamente la linea di alimentazione di
        un verricello. Provate a calcolare la c.d.t. della linea originale Warn
        o Superwinch che è pari a circa 35 mm2 con un rot equivalente a soli 35°C.
        Avrete una brutta sorpresa e capirete perché il verricello non riusciva
        a recuperare un Suzukino in condizioni di basso attrito... ;-) In realtà
        io penso che i costruttori di winch usino linee piccole per proteggere i
        loro motori: grande resistenza = enorme caduta di tensione = limitazione
        dell'energia sul motore = salvezza del verricello in caso di utilizzo
        inclemente!
 
 
 PARTE 3
 Per proteggere il
        cavo contro gli effetti delle sovracorrenti è possibile utilizzare un
        fusibile oppure un interruttore automatico magnetotermico. Quest'ultimo
        dispositivo di protezione presenta il grande vantaggio di essere quasi
        sempre ripristinabile dopo il suo intervento, senza che sia necessario
        sostituire alcuna parte. Al contrario, il fusibile si
        "sacrifica" per proteggere il nostro impianto e dopo aver
        svolto il suo nobile lavoro dovrà necessariamente essere sostituito.
        Dal momento che ci riferiamo principalmente agli impianti
        automobilistici, prenderò in considerazione solo il caso del fusibile.
 Aggiungo che i fusibili di cui stiamo parlando (i soliti a lama), oltre
        ad essere facilmente reperibili, sono anche molto economici. Il loro
        costo, comprendendo anche il necessario portafusibile, non è
        paragonabile a quello di un interruttore automatico.
 
 Per eseguire il corretto dimensionamento di un fusibile ai fini di
        ottenere la protezione del cavo contro le sovracorrenti di debole entità
        (sovraccarichi - più avanti parleremo anche del caso del cortocircuito)
        è necessario conoscere almeno due variabili:
 
 - la corrente d'impiego del circuito indicata con Ib;
 - la portata di corrente massima del cavo utilizzato indicata con Iz.
 
 Il valore Ib è già noto in quanto rappresenta la corrente assorbita
        dall'utenza che dobbiamo alimentare (abbiamo utilizzato quel valore nel
        calcolo della caduta di tensione).
 
 Iz corrisponde al valore massimo di corrente che può fluire all'interno
        di un cavo ad una certa temperatura ambiente ed in determinate
        condizioni di posa.
 
 Qualunque conduttore oppone una certa resistenza al passaggio della
        corrente dissipando una parte dell'energia fluente in esso in calore
        (effetto Joule). E' importante che la temperatura del conduttore non
        superi il valore massimo sopportabile dal rivestimento isolante del
        conduttore stesso. Anche le condizioni di posa influiscono sulla
        temperatura di esercizio: un conduttore teso in aria si raffredderà più
        efficacemente di un conduttore posato all'interno di un tubo. In un
        fascio di cavi, il conduttore centrale si surriscalderà maggiormente
        rispetto ai conduttori periferici. Non da ultima, come al solito, la
        temperatura ambiente influirà notevolmente sulla determinazione della
        portata Iz di un cavo.
 
 In commercio esistono molti tipi di cavo, differenziati per lo più
        dalla natura dell'isolante: in PVC, in gomma a base di neoprene, in
        gomma butilica, in gomma siliconica, in teflon, con isolamento a base
        minerale e via discorrendo. Il cavo normalmente impiegato negli impianti
        automotive (e anche negli impianti elettrici civili) è quello con
        isolante in PVC. E' economico e facilmente reperibile. La maggiore pecca
        è legata al fatto che il suo isolante può sopportare una temperatura
        massima di circa 70°C. Oltre tale limite l'isolante rammollisce
        deformandosi. Il deterioramento è spesso irreversibile e rende il cavo
        pericoloso.
 
 Chiarito il concetto di massima temperatura dell'isolante, occorrerebbe
        ora calcolare la portata di un conduttore considerando la
        sovratemperatura raggiunta per effetto della sua resistenza deducendo la
        quantità di energia termica ceduta all'ambiente quando lo stesso è
        attraversato da una certa corrente... interessante ma troppo complesso
        per questa trattazione!
 ;-)
 
 Nell'intento di rimanere pratici è meglio affidarsi a qualche tabella e
        ad una semplice relazione: Iz = Iz0 * k1 * k2 dove Iz0 è la portata di
        un cavo alla temperatura ambiente di 30°C (generalmente per posa entro
        un tubo o guaina), k1 è il coefficiente di riduzione per temperature
        maggiori di 30°C, k2 è il coefficiente di riduzione per cavi
        installati in fascio o strati multipli.
 
 Fornisco qualche valore utile per eseguire i calcoli (dati validi per
        cavi in PVC, desunti dalle tabelle CEI/UNEL).
 
 sezione        Iz0
 
 1,5 mm2       17,5 A
 2,5 mm2       24   A
 4   mm2       32  
        A
 6   mm2       41  
        A
 10   mm2       57   A
 16   mm2       76   A
 25   mm2      101   A
 35   mm2      125   A
 50   mm2      151   A
 70   mm2      192   A
 95   mm2      232   A
 120   mm2      269   A
 150   mm2      309   A
 
 temperatura    k1
 
 35 °C          0,94
 40 °C          0,87
 45 °C          0,79
 50 °C          0,71
 55 °C          0,61
 60 °C          0,50
 
 numero cavi    k2
 
 2             
        0,80
 3             
        0,70
 4             
        0,65
 5             
        0,60
 6             
        0,57
 7             
        0,54
 8             
        0,52
 9             
        0,50
 
 La verifica procede controllando innanzitutto che la portata massima del
        conduttore Iz sia maggiore o almeno uguale alla corrente Ib assorbita
        dell'utenza. Quindi Iz > Ib.
 
 Quindi si sceglie il fusibile adottando questa relazione: Ib < In
        < 0,9*Iz dove In è la corrente nominale del fusibile e 0,9 è un
        coefficiente che tiene conto della caratteristica d'intervento del
        fusibile che, come già detto, è mediocre nel caso delle sovracorrenti
        di bassa entità e ottima nel caso delle sovracorrenti di elevata entità
        (cortocircuiti).
 
 
 A questo punto è d'obbligo il solito esempio pratico che vale più di
        mille parole. Proviamo a dimensionare la linea d'alimentazione ed il
        fusibile di protezione di un compressore d'aria che presenta le seguenti
        caratteristiche:
 
 - tensione 12 V;
 - potenza resa 650 W;
 - rendimento 0,82 (si indica con la lettera greca eta).
 
 
 Le condizioni di installazione sono le seguenti:
 
 - lunghezza linea 2,3 m;
 - temperatura ambiente 35°C.
 
 
 Ci si impone di non superare una caduta di tensione pari al 2% della
        tensione nominale d'alimentazione ovvero 0,24 V.
 
 
 Calcoliamo innanzitutto la corrente Ib assorbita dal compressore:
 
 Ib = (P/eta)/Un = (650/0,82)/12 = 66 A
 
 
 Ora calcoliamo il valore della resistività del nostro cavo di rame alla
        temperatura di 35 °C:
 
 rot = 0,016*[1+(0,0042*35)] = 0,018 ohm*mm2/m.
 
 
 Quindi dimensioniamo la linea di alimentazione con il metodo della
        verifica della caduta di tensione:
 
 s = (rot*l*2*I)/deltaU = (0,018*2,3*2*66)/0,24 = 22,8 mm2
 
 Il valore ottenuto viene arrotondato a 25 mm2, prima sezione commerciale
        disponibile.
 
 
 Verifichiamo la portata Iz del cavo considerando che lo stesso è posato
        all'interno di una guaina dedicata e quindi, non essendoci altri
        circuiti adiacenti, non è necessario includere il coefficiente k2 nel
        calcolo:
 
 Iz = Iz0*k1 = 101*0,94 = 94,9 A
 
 Osservate come la portata di corrente nominale del cavo subisca un
        declassamento del 10% per un aumento della temperatura ambiente di 5°C.
 
 
 A questo punto scegliamo un fusibile di protezione di corrente nominale
        In pari a 80 A. Si tratta del primo valore commercialmente disponibile
        che presenti una corrente superiore a quella del nostro compressore (66
        A). Vediamo se il fusibile scelto protegge il cavo:
 
 In < 0,9*Iz = 80 < (0,9*94,9) = 80 < 85,4 A
 
 Il cavo sopporta 85,4 A a 35°C, quindi risulta protetto da un fusibile
        di In pari a 80 A.
 
 
 E' appena il caso di farvi notare che se la temperatura ambiente fosse
        stata un poco più elevata si sarebbe dovuto adottare un cavo da 35 mm2.
 
 Il metodo di calcolo sopra indicato è quello "scolastico",
        semplificato e ridondante. In altre parole, un cavo dimensionato e
        protetto in quel modo con buona probabilità sopravviverà alla stessa
        Land Rover! Sono i calcoli che si fanno quando si dimensiona un cavo
        destinato ad un impianto che deve lavorare a pieno carico per 24 ore al
        giorno, 365 giorni all'anno, per almeno 25 anni (per il funzionamento
        intermittente si fanno altri ragionamenti). Insomma, se adottate questo
        metodo avrete la certezza di essere dalla parte della ragione. In ogni
        caso l'irrisorio costo del cavo elettrico isolato in PVC non giustifica
        la scelta di sezioni nominali insufficienti.
 
 Un approccio tecnicamente corretto al problema della riduzione delle
        sezioni dei cavi - con vantaggi in termini di peso, ingombro e migliore
        lavorabilità dei cavi stessi - è la scelta di conduttori isolati con
        materiali pregiati. Un cavo isolato in gomma butilica sopporta
        temperature di esercizio quasi doppie rispetto al PVC. Un cavo isolato
        in gomma siliconica va anche oltre. Se al silicone si aggiunge la fibra
        di vetro otteniamo cavi in grado di operare oltre i 200°C. Attenzione
        però: siamo sicuri che ciò che si trova intorno ai cavi sopporta tali
        temperature?!
 Francesco
        Mazzitelli   COME
        FUNZIONA UN RELE' Credo che tutti conoscano
      il principio di funzionamento di un interruttore elettrico. Come suggerisce
      il termine stesso, l'interruttore è un dispositivo in grado di
      interrompere un circuito elettrico. Per mezzo di un interruttore è
      possibile attivare e disattivare a proprio piacimento una qualunque utenza
      elettrica.
 Gli interruttori generalmente si comandano per mezzo di una piccola leva,
      una slitta o un tasto basculante. L'elemento di comando può essere in
      materiale plastico oppure metallico. In ogni caso, l'elemento di comando
      è elettricamente isolato dai componenti interni dell'interruttore e il
      contatto delle dita della mano con esso non costituisce fonte di pericolo.
 
 La funzione di interruzione è generalmente ottenuta per mezzo di due
      contatti: uno fisso ed uno mobile. Il contatto mobile è azionato
      dall'elemento di comando di cui sopra. Quando il contatto mobile è
      separato dal contatto fisso non vi è conduzione di elettricità e la
      nostra utenza non è attiva. In questo caso, contrariamente alla
      terminologia idraulica adottata per un rubinetto, si dice che
      l'interruttore è aperto oppure spento. Quando per effetto dell'elemento
      di comando il contatto mobile viene congiunto con il contatto fisso, vi è
      conduzione d'elettricità e l'utenza collegata all'interruttore è attiva.
      Quando l'interruttore si trova in questa condizione si definisce chiuso o
      acceso.
 
 Un relè è un particolare tipo di interruttore dove l'elemento di comando
      è costituito da un elettromagnete in grado di attrarre o rilasciare una
      piccola leva metallica. La leva metallica, per mezzo di un giunto
      isolante, è meccanicamente collegata al contatto mobile
      dell'interruttore. Quando l'elettromagnete viene alimentato con energia
      elettrica esso attrae l'ancora che a sua volta provoca la chiusura
      dell'interruttore. Nel momento in cui l'elettromagnete viene disalimentato,
      l'ancora torna nella sua posizione originale grazie alla presenza di una
      molla e l'interruttore si apre. Il circuito collegato al contatto di un
      relè viene detto circuito principale o di potenza. Quello collegato
      all'elettromagnete di un relè viene designato con la dizione circuito
      ausiliario o di comando. Molto spesso si indica
 l'elettromagnete con il termine "bobina" essendo lo stesso
      costituito da un nucleo metallico sopra il quale sono avvolti parecchi
      strati di filo di rame a guisa di bobina.
 
 Per comandare l'elettromagnete di un relè generalmente si utilizza un
      interruttore azionato manualmente. Ora vi starete chiedendo il perché di
      tutta questa complicazione. Non sarebbe più semplice utilizzare
      direttamente l'interruttore per comandare la nostra utenza invece di
      frapporre un relè che alla fine sarà comunque comandato da un
      interruttore semplice? La risposta è no, o meglio, non sempre.
 
 Un circuito elettrico è sempre attraversato da una certa quantità di
      corrente. Questo valore si esprime in ampère, abbreviato A (senza il
      puntino). Esistono interruttori in grado di sopportare correnti che
      spaziano da qualche frazione di ampère fino ad alcune migliaia. Maggiore
      è la corrente che l'interruttore può sopportare, maggiori sono le sue
      dimensioni e maggiore è la sezione dei cavi che ad esso si collegheranno.
      Non è sempre possibile collocare interruttori destinati alla gestione di
      correnti elevate in posizioni a noi comode. Inoltre spesso non è
      conveniente posare cavi di collegamento di elevata sezione fino al luogo
      dove sarà installato l'interruttore.
 
 Per fare un esempio pertinente al mondo del fuoristrada, provate a pensare
      cosa significherebbe posizionare sul cruscotto un interruttore in grado di
      interrompere una corrente di 400 A a 12 V e cercate di immaginare la
      grandezza dei conduttori che ad esso si dovrebbero collegare!
 
 In questi casi si ricorre al relè. Quest'utile dispositivo presenta il
      vantaggio di poter essere collocato strategicamente: vicino alla sorgente
      di energia oppure in prossimità dell'utenza da alimentare oppure in altro
      luogo comodo. I conduttori di elevata sezione si collegheranno al contatto
      di potenza del relè senza dover effettuare percorsi tortuosi od
      ingombrare spazi preziosi. Il circuito di comando del relè, ovvero
      l'elettromagnete, potrà essere alimentato con due conduttori di piccola
      sezione in quanto l'elettromagnete stesso assorbirà una quantità di
      corrente molto bassa, nell'ordine di alcune decine di millesimi d'ampère.
      I due piccoli fili potranno essere agevolmente condotti nel luogo dove
      collocheremo l'interruttore di comando. L'interruttore sarà interessato
      da una bassissima entità di corrente e perciò presenterà dimensioni
      ridotte e potrà essere collocato con maggior facilità.
 
 Quanto indicato al paragrafo precedente è solo uno dei vantaggi offerti
      dai relè. Ve ne sono altri che sarebbe lungo elencare in questa sede. Vi
      basti per il momento sapere che esistono relè di controllo, relè di
      potenza, relè di protezione, relè di misura, relè di sgancio, relè di
      emergenza, relè sotto vuoto, relè con contatti in atmosfera di gas
      inerte, eccetera. Credetemi, c'è materiale sufficiente per scrivere un
      libro.
 
 Vorrei ancora precisare che il relè è anche un valido dispositivo per
      disaccoppiare due circuiti. Quando esiste la necessità di comandare
      un'utenza che opera ad una tensione X (ad esempio 230 V) con una tensione
      Y (ad esempio 24 V) si utilizza un relè dotato di una bobina a 24 V.
      Collegheremo il circuito a 230 V ai contatti del relè e saremo in grado
      di comandare la nostra utenza con una tensione più bassa (i famosi 24 V)
      mantenendo i due circuiti separati. Questo può essere utile anche quando
      non si desidera portare su un interruttore una tensione potenzialmente
      pericolosa (sebbene l'interruttore sia isolato, vi sono casi in cui è
      meglio adottare precauzioni supplementari, per esempio in presenza
      d'umidità).
 
 Aggiungo che esistono relè dotati di contatti multipli: i più comuni
      sono a due, tre o quattro contatti ma sono disponibili modelli industriali
      anche a venti contatti. Quando la bobina del relè non è alimentata, i
      contatti possono essere normalmente aperti (NO) o normalmente chiusi (NC).
      La combinazione di un contatto normalmente aperto con uno normalmente
      chiuso assume il nome di deviatore o commutatore (CO). In quest'ultimo
      caso il contatto NC ha un polo in comune (C) con il contatto NO. In altre
      parole si hanno due contatti fissi in mezzo ai quali si muove, per effetto
      dell'elettromagnete, il contatto mobile. Quest'ultimo, alternativamente e
      mai simultaneamente, può entrare in contatto con uno dei due elementi
      fissi.
 
 
 Francesco Mazzitelli
 
     
          
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